Visita al museo “Tiere motus” di Venzone

Reportages di due studentesse da Venzone per fare memoria del terremoto del 1976

Il 16 gennaio scorso, nell’ambito del progetto interdisciplinare “La storia nei luoghi della storia”, curato dal prof. De Clara, ci siamo recati a Venzone, un paese di origine medievale situato alle soglie della Carnia. Si tratta di un piccolo centro abitato che, a seguito delle scosse sismiche del terremoto del 1976, è andato quasi interamente distrutto. 

Tuttavia, come abbiamo potuto apprendere dalla visita al museo “Tiere Motus”, la popolazione si è subito rimboccata le maniche e il paese è stato pian piano ricostruito. Abbiamo avuto la possibilità di informarci su questo tragico avvenimento, dal punto di vista scientifico e storico, per riflettere, capire, imparare. Quella dell’Orcolat è una storia che ha segnato non solo il territorio in cui viviamo ma anche, e soprattutto, la sua popolazione. Molti tra di noi, infatti, hanno ritrovato racconti legati al terremoto nelle loro storie familiari. 

Sofferenza e perdita ma anche rinascita e collaborazione: queste sono le parole chiave che ci sono rimaste impresse a seguito della visita. Particolarmente toccanti sono state senza dubbio le fotografie appese alle pareti del museo. Parlando generalmente di “vittime del terremoto” si rischia quasi di dimenticare che ognuna di quelle era effettivamente una persona vera. Ogni fotografia conserva con sé una storia ed è bello che si sia data importanza alle esperienze delle singole persone: è questa la peculiarità del museo di Venzone. Le vittime hanno un nome e un cognome, un volto preciso e una storia di vita tutta loro. Sono storie di dolore, di paura, di speranza, di esodo. Molti dopo il terremoto furono infatti costretti a partire verso le località balneari della regione, migliaia di persone dovettero abbandonare quella che era la loro casa, perché restare non era sicuro. Molto toccante è il fatto che alcune delle persone riportate nelle fotografie siano effettivamente state a visitare il museo, per raccontare ad alta voce e in prima persona ciò che era capitato a loro. A differenza loro, altre delle persone che compaiono nelle foto non ce l’hanno fatta, perché decedute a causa del terremoto o perché il destino è stato crudele, e se le è portate via a causa delle ferite negli anni seguenti.

In che modo il terremoto del 1976 è anche rinascita? È rinascita nella misura in cui i cittadini dei paesi colpiti non sono rimasti a guardare il terribile scenario che gli si apriva davanti, restando immobili ad autocommiserarsi. Di fondamentale importanza è stato, infatti, il ruolo delle forze civili nelle operazioni di soccorso e di ricostruzione: ad esempio, a seguito del terremoto, nascerà la Protezione civile.

Peculiare è anche la storia del Duomo di Sant’Andrea; all’epoca un gruppo di cittadini formò un comitato con lo scopo di ricostruire il duomo esattamente com’era prima del terremoto. Si tratta di una ricostruzione per “anastilosi”, una fedelissima riproduzione dell’edificio tramite l’utilizzo dei pezzi originali. A seguito della visita del museo siamo andati anche al Duomo appunto, osservandone sia l’interno, arricchito da dipinti e affreschi, che l’esterno, caratterizzato da un’interessante architettura medievale.

A cura di Sara Tondon e Egle Battistello – Classe 5E