Lettera a una professoressa

Pubblichiamo la "lettera di a una professoressa" della nostra studentessa Agata Furlani, corredata da una breve riflessione del nostro Dirigente scolastico

Lettera a una professoressa

di AGATA FURLANI

 

Parte prima: la Scuola dell’obbligo non può non bocciare

Cara professoressa,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha promossi tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate Scuola, ai ragazzi che promuovete senza insegnare loro l’impegno.

Ci promuovete senza nemmeno guardarci in faccia: dovreste concentrarvi un po’ più sui ragazzi e un po’ meno sui programmi. Ogni ragazzo è a sé, ognuno ha i propri punti di forza e le proprie lacune ed è sbagliato trascurare entrambe le cose. La vostra Scuola fa questo: trascura i ragazzi. Li trascura perché spesso e volentieri non ci dà la possibilità di approfondire ciò che ci piace e perché a causa di tutte le cose che bisogna trattare, si è sempre di fretta e non ci si può fermare a riflettere e a rivedere ciò che non è chiaro o ciò che ci incuriosisce.

Mi rendo conto che la mole di argomenti da trattare non sia una colpa da addossarvi. Ma allora bocciateci: se qualcuno non riesce a starvi dietro e imparare bene tutto, potrà ripetere l’anno e imparare meglio. Sarà un regalo che farete a lui e anche a tutti gli altri compagni: l’anno prossimo lui ripasserà ciò che non ha capito, mentre gli altri potranno proseguire con gli argomenti.

La bocciatura viene vista come un fallimento, ma il fallimento, in essa, non è del ragazzo, ma della Scuola.

 

Parte seconda: insegnare di meno e meglio

Ci sono certi argomenti che abbiamo studiato anche tre volte, nel corso della scuola dell’obbligo. Altri nemmeno una.

Che senso ha ripetere a memoria la fine dell’Impero Romano se poi non si sa neanche com’è strutturata la nostra preziosa Costituzione?

Con questo, non intendo certo dire che la fine dell’Impero Romano non sia importante, ma quando l’abbiamo studiata (bene!) una volta, che senso ha studiarla di nuovo?

Lei potrebbe obiettare che a sedici anni si studia in modo più approfondito che a dodici e avrebbe ragione, ma se gli argomenti fossero di meno, la maestra o la professoressa delle medie potrebbero spendersi un po’ di più per raccontare curiosità sull’argomento. Inoltre, susciterebbe in noi la voglia e il desiderio di cercare altre informazioni e di studiare per conto nostro.

È chiaro però che per approfondire in classe, l’insegnante deve avere una formazione di un certo tipo alle spalle.

 

Parte terza: insegnanti che valgono

Chi di noi ha avuto dei bravi insegnanti li ricorderà per sempre con ammirazione e deve considerarsi fortunato. All’interno del mondo della Scuola ci sono tantissime persone che non possiedono i titoli o le competenze per poter insegnare e questo è un grosso errore. Quello dell’insegnante è uno tra i mestieri più difficili che esistano, perché comporta uno studio e un approfondimento continuo, racchiude la gestione del complicato rapporto tra docente e studente e prevede che l’insegnante riesca a diversificare i propri metodi in base ai propri ragazzi.

Qui lei potrebbe trovare questa mia affermazione assurda e la capisco bene: come può essere possibile dare ad ogni ragazzo gli strumenti che gli servono, se lei si ritrova in classe ventotto ragazzi con vissuti, conoscenze, lacune, punti di forza e personalità completamente differenti?

E qui arriviamo ad un altro grossissimo problema della Scuola.

 

Parte quarta: meno studenti, più insegnanti

Se ogni insegnante avesse quindici ragazzi e non ventotto, forse potrebbe fare a meno che questi poveri studenti vengano trascurati. Questo significherebbe aumentare quello che voi chiamate ‘organico’: il numero di insegnanti andrebbe raddoppiato. È matematica: se per ventotto ragazzi andava bene un solo insegnante (con il risultato di promuoverli tutti e di istruirne davvero soltanto uno), per formare classi da quindici ragazzi servirebbero il doppio dei docenti, i quali potrebbero davvero dedicarsi ai propri studenti, mettendoci l’impegno che serve per incuriosirli e insegnare loro qualcosa che non dimentichino il giorno dopo.

È necessario tuttavia che gli insegnanti, come abbiamo detto nella parte terza, siano formati e, soprattutto, incuriositi dalle materie che insegnano, altrimenti non potranno mai raccontare ai ragazzi qualcosa di diverso da quello che potrebbero autonomamente leggere online.

Lei potrebbe ribattere che, se cominciaste a bocciarci, le classi potrebbero comunque salire un po’ di numero, ma in realtà con meno studenti, gli insegnanti avrebbero la possibilità di aiutare chi ne ha bisogno in tempo, senza doverlo bocciare.

 

Parte quinta: le possibilità della Scuola

Secondo me, la scuola è il miglior posto che esista: un luogo dove imparare, dove poter esprimersi e dove poter conoscere persone, culture, idee nuove. Si dice spesso che nella scuola vengono formati i cittadini di domani. Sono convinta che sia vero: ogni cosa che viene insegnata a scuola contribuirà a farci diventare chi saremo.

Proprio per questo, la scuola dev’essere un punto di incontro, di dialogo. Un luogo dove sentirsi accolti per chi si è, dove poter sperimentare le proprie capacità per trovare la propria strada.

La Scuola deve coccolarci, perché sarebbe bello che noi studenti riacquistassimo il piacere di studiare e di imparare cose nuove. Con la parola ‘coccolarci’ non intendo certo dire che la scuola dovrebbe essere solo divertimento: i docenti dovrebbero insegnarci l’impegno e la profondità, per renderci cittadini consapevoli.

So che la Scuola può essere davvero un luogo dove rendersi migliori.

Ora siamo qui ad aspettare una risposta. Ci sarà bene qualcuno che ci scriverà. Aspettiamo questa lettera. Abbiamo fiducia che arriverà.

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Sì, c’è qualcuno che ti risponde, anche perché quello che scrivi merita una risposta. Ci sono due tue frasi che già da sole fanno la mia risposta: “la bocciatura viene vista come un fallimento, ma il fallimento, in essa, non è del ragazzo, ma della Scuola” e “insegnare di meno e meglio” ed entrambe toccano prima me dei docenti. Su questo ho sempre lavorato in questi miei undici anni di dirigenza al Marinelli e su questo lavorerò anche quest’anno, che sarà il mio ultimo. Ma la soluzione alla fine è una sola: venire a scuola per imparare non per raggiungere un voto. Compito difficile, ma che rimane il più importante.

Stefano Stefanel, dirigente scolastico, Liceo Marinelli Udine