Il viaggio della memoria 2024

Diario di viaggio di tre studentesse del “Marinelli”

A conclusione del tradizionale Viaggio della memoria 2024, cui il “Marinelli” ha partecipato quest’anno con 19 studenti e 2 insegnanti, proponiamo qui di seguito il Diario di viaggio realizzato da tre studentesse. L’iniziativa vede ormai da diversi lustri la partecipazione di una delegazione di allievi e allieve del nostro liceo. L’iniziativa, promossa come tradizione dall’Aned nella prima settimana di maggio, ha visto in questa edizione la partecipazione di quasi 230 persone (4 pullman): soci del sodalizio e soprattutto studenti di varie scuole superiori di Udine e provincia. Essendo l’attività inserita anche nel progetto di rete interscolastica “Diamo ali alla memoria”, finanziato dalla Regione FVG (che ringraziamo doverosamente), i “marinelliani” hanno potuto godere di un consistente abbattimento della quota di partecipazione.

Ecco dunque il Diario di Margherita, Arianna e Martina.

Venerdì 3 maggio 2024

Dal 3 al 5 maggio, con la nostra scuola, e grazie all’associazione ANED (Associazione nazionale ex deportati – sezione di Udine) abbiamo avuto la possibilità di partecipare al Viaggio della memoria. Il 3 maggio, in particolare, è stata scelta come prima tappa il campo di concentramento nazista di Dachau, il primo ad essere stato aperto, solo un mese dopo l’ascesa al potere di Adolf Hitler. Esso venne ricavato da una fabbrica in disuso e venne utilizzato, successivamente, come modello per tutti gli altri campi di concentramento nazisti. Inizialmente il lager venne istituito con lo scopo di “rieducare” gli oppositori politici del nazismo, quindi furono unicamente i tedeschi il bersaglio iniziale. Ma poi le SS presero il pieno potere gestionale e non passò molto tempo che si aggiunsero altre “categorie” di prigionieri, quali: oppositori politici fuoriusciti dalla Germania, testimoni di Geova, ebrei, rom, sinti, omosessuali, persone ritenute asociali, esponenti del clero e criminali comuni.

Il lager fu destinato principalmente a soli uomini, utilizzati come manodopera, infatti venne strutturato come campo di lavoro, e le persone inadatte furono destinate a luoghi ancor peggiori. Per la maggior parte, infatti, i detenuti morivano stremati dal lavoro disumano che dovettero compiere. La loro giornata consisteva nell’alzarsi alle 4:30, uscire subito dalle baracche per fare l’appello e lavorare per 12 ore con un unico pasto da circa 600 calorie. Altri metodi utilizzati per sterminare le persone furono attraverso gli esperimenti pseudo-scientifici e attraverso la camera a gas. 

Il campo venne progettato per ospitare al suo interno 5000 persone, ma all’arrivo degli americani, il 29 aprile 1945, i soldati ne trovarono 30000, in condizioni igienico-sanitarie davvero precarie. Essi, inorriditi dalla vista di tanta sofferenza, in un impeto di rabbia uccisero tutti i soldati tedeschi rimasti e obbligarono i cittadini di Dachau a vedere la disumanità di quel luogo. 

Dopo essere entrati all’interno del lager attraverso la famosa porta con su scritto “arbeit macht frei” la nostra cerimonia commemorativa è proseguita verso il monumento in ricordo dei caduti. Qui abbiamo avuto la possibilità di ascoltare la testimonianza di Mario Candotto, deportato a Dachau il 2 giugno 1944, sopravvissuto al lager e oggi novantottenne. È stato un momento davvero commovente per tutti noi: immedesimandoci in lui abbiamo capito quanto possa essere dura dover rivedere e rivivere un luogo che ti ha causato tanto dolore, ma lui ci ha spiegato quanto si sentisse in dovere di continuare a testimoniare per far sì che una cosa del genere non possa più ricapitare. 

In seguito abbiamo avuto anche una seconda testimonianza, ma questa volta fatta dal nipote di un altro ex deportato, uno studente udinese della nostra età. Il ragazzo ci ha spiegato come suo nonno si fosse salvato grazie alla richiesta lavorativa, al di fuori del campo, da parte di una fabbrica tedesca. Ci ha spiegato come lui non abbia mai effettivamente conosciuto il proprio nonno, ma lo riesce a sentire vicino a sé continuando a commemorare e a far vivere la sua storia. 

Poi insieme ad una guida esperta ci siamo spostati all’interno del museo, dove abbiamo potuto vedere la lunga storia del campo in ogni suo lato, dai metodi di tortura alla liberazione americana. Tra queste mura abbiamo trovato immagini davvero forti e ripugnanti, che dimostrano la vera spietatezza dei soldati nazisti, che non si piegarono a nessun tipo di pietà. 

E infine abbiamo visitato la camera a gas, con i relativi crematori, che ci ha portato tutti ad immergerci in un senso di angoscia e sofferenza.

 

Sabato 4 maggio 2024

Sabato ci siamo svegliati presto e alle 8 siamo partiti in direzione Mauthausen: arrivati, verso le 9:15, abbiamo potuto subito notare tutti i monumenti dei diversi stati in ricordo dei deportati al campo, a partire da quello italiano, con su scritto: “Agli italiani che per la dignità degli uomini qui soffersero e perirono”. Subito dopo c’è stata la commemorazione: siamo arrivati in fila al monumento, con in testa il gonfalone del Comune di Udine portato di un poliziotto che è venuto con noi, e il presidente dell’ANED Marco Balestra ha tenuto un discorso, seguito dalla lettura di una lettera da parte dell’assessora Arianna Facchini. Il momento è stato molto toccante, come quello del giorno precedente a Dachau, perché eravamo lì, tutti uniti, per uno scopo comune, onorare e ricordare gli uomini che morirono per la dignità. Poi c’è stata la visita del campo insieme ai nostri professori: il primo elemento esterno è sicuramente la cava di granito, raggiunta tramite la cosiddetta “scala della morte”, a cui abbiamo potuto accedere solo il giorno seguente. Ci siamo poi addentrati nel campo, e il terrore, l’angoscia e la riflessione ci hanno pervaso. Con questi sentimenti abbiamo visitato il museo, colmo di testimonianze di vario genere, c’erano alcuni video dove ex-deportati raccontavano alcuni episodi, ma anche numerosi disegni raccolti segretamente e rimasti poi alla storia: un esempio è il disegno dove un deportato deve dare da mangiare agli altri, accalcati per prendere per primi la razione, e non sa a chi darlo per primo (questo perché le SS volevano creare gerarchie all’interno dei campi, in modo da mettere gli uni contro gli altri). C’erano poi delle divise, il consueto pigiama a righe, e molti cartelli in tedesco che ricordavano le rigide regole da rispettare. Parte dell’esposizione erano poi alcune toccanti lettere, che i deportati scrivevano ma che non sarebbero mai arrivate a nessuno, dove il più delle volte venivano esposte le spietate punizioni per il non rispetto delle regole, anche le più banali come l’alzarsi subito la mattina, o lo sconforto verso un destino incerto. Uno dei momenti più tristi è stata l’ultima parte della visita, quando siamo giunti in una stanza dove erano scritti, in tavoli illuminati, tutti i nomi (dichiarati) delle vittime del campo: pensare che così tante persone siano morte in un solo luogo è struggente e fa capire la crudeltà dell’uomo. 

Terminata la visita abbiamo pranzato e siamo poi arrivati nel pomeriggio al castello di Hartheim, luogo dove venivano portate tutte le persone con malattie mentali, le quali, essendo ritenute inutili allo sviluppo della società, dovevano essere categoricamente eliminate. Questo luogo faceva parte del progetto denominato “Aktion T4”, ovvero il programma di eutanasia. Questi soggetti, così si riteneva, avrebbero potuto diventare i pericolosi genitori di altri soggetti malati, perciò la stirpe doveva essere stroncata subito. Dopo di loro vennero deportate le persone più deboli e inabili al lavoro. Abbiamo quindi visitato il museo insieme ai professori, e ascoltato, durante la commemorazione iniziale, una poesia scritta da una nostra compagna del “Marinelli”, Sofia Pascoli di 5L:

Hartheim

Il castello per curare e sanare
dall’esterno
Il castello parte di un ingranaggio perfetto,
per eliminare le zavorre,
per sradicare le impurità
fu veramente
D’altronde erano persone
che non valevano nulla,
erano un peso, una spesa,
inutili alla società perché improduttivi:
indegni di vivere
E quando saremo vecchi,
ma anche i bambini,
i soldati mutilati
sono quindi da eliminare?
Qual è la differenza tra normale e anormale?
È giusto poi manipolare la vita?
Come quegli uomini che decisero
chi dovesse vivere e chi no,
distruggendo e creando esseri umani:
organizzando parallelamente i programmi
aktion T4 e lebensborn
conoscendo ciò che è accaduto
dando un senso alla loro morte
Oggi,
sacro è il valore della vita,
un diritto di tutti
imprescrittibile

Anche al termine di questa visita, eravamo tutti mossi da una profonda angoscia, e abbiamo avuto il tempo per riflettere a riguardo.

In chiusura di giornata abbiamo infine preso parte all’assemblea generale con tutti i partecipanti al viaggio e un rappresentante di ogni scuola ha espresso una riflessione riguardante le visite precedenti. Marco Balestra ha tenuto nuovamente un discorso, incitando tutti a non smettere di ricordare i terribili orrori commessi e, in conclusione, a essere felici.

 

Domenica 5 maggio 2024

Durante la giornata conclusiva ci siamo nuovamente recati al campo di concentramento di Mauthausen per celebrare, assieme alle delegazioni di altre nazioni, la liberazione del campo avvenuta il 5 maggio del 1945. Prima di sfilare in corteo assieme a tutti i gruppi italiani, abbiamo percorso la scala della morte che conduce alla cava nella quale i deportati erano costretti a lavorare fino allo sfinimento, deperiti dalla mancanza di cibo e consumati dalla violenza fisica e psicologica. Nonostante il verde abbia in qualche modo coperto le crudeli azioni perpetrate nel luogo, l’aria che si respira è pesante, carica di dolore. Le pareti conservano ancora le strazianti urla dei deportati, in particolare quelle dei “paracadutisti”, sprezzante modo con cui i militari tedeschi chiamavano coloro che spingevano nel vuoto poiché troppo consumati per lavorare. Quando si sale la scalinata e il respiro si fa corto, non si può non pensare alle migliaia di persone che hanno consumato con la fatica e con i deboli passi, pesanti sotto il peso degli enormi massi di granito, i ripidi gradini spezza fiato. Nel corso della mattinata abbiamo avuto la possibilità di assistere alle numerose e diverse commemorazioni delle nazioni che hanno voluto ricordare il periodo più brutto della storia umana. Giunto il momento della sfilata, la nostra delegazione italiana, la più numerosa tra quelle presenti, ha sfilato, sulle note di “Bella Ciao” e tra gli applausi degli spettatori, sventolando la bandiera della pace. Il momento della sfilata è stato veramente emozionante, vedere l’ammirazione degli spettatori davanti a un gruppo così ben organizzato di giovani riuniti per onorare le vittime, la memoria e soprattutto la pace, ci ha riempito i cuori di gioia. Terminata la sfilata, il gruppo francese ci ha invitato a cantare tutti insieme “Bella Ciao” per unirci, tutti insieme, nel comune ricordo e nella comune voglia di pace e comunanza tra le nazioni. Terminata la mattinata, ci siamo diretti verso le nostre corriere e abbiamo intrapreso il nostro viaggio di ritorno verso Udine. 

 

Per concludere vorremo riportare le parole che abbiamo pronunciato durante l’assemblea di sabato. Riassumono, come in una mappa, l’esperienza condivisa di tutto il nostro gruppo del “Marinelli”: responsabilità, angoscia, speranza, vita, libertà, impegno, dignità, privazione, ricordo, impotenza, empatia, riflessione, condivisione, malinconia, identità, esperienza, etica.

 

Del Cet Arianna, Damiani Margherita, Bruni Martina, 4A