
Lo scorso 12 novembre, a Udine, all’Auditorium dello Zanon, un gruppo di studenti del Liceo Marinelli ha incontrato i poeti e scrittori Davide Rondoni e Gian Mario Villalta per dialogare, nell’ambito dell’iniziativa “Sguardi di poeti” - p. David M. Turoldo a 105 anni dalla nascita, sul tema La poesia accende la vita: itinerari di lettura da Dante a Turoldo.Essendo presente, assieme alle colleghe Rosanna Zoff e Marcella Zampieri, in qualità di docente del Marinelli, mi ha fatto molto piacere ascoltare riflessioni sulla poesia che condivido e che ritengo utili. Riassumo allora qualche concetto espresso nell’occasione da Davide Rondoni e Gian Mario Villalta, augurandomi che anche e soprattutto in quest’epoca, letteralmente angosciante, la poesia possa svolgere il suo compito vitale.
Turoldo ebbe una vita molto dura tra povertà, fame, guerre, fascismo… Nondimeno, egli ha sempre raccontato in poesia il mondo in cui è vissuto, scrivendo cose meravigliose. Anche oggi, in contesti così diversi dal suo, siamo chiamati a bramare un’unità superiore, per favorire la ricerca di senso e un pensiero più vasto dello standard banale proposto dai media, dai social, dalle sovrabbondanti chiacchiere che tutto riempiono, lasciandoci il nulla fra le mani. A questo fine la poesia è più che mai essenziale; per questo è sempre esistita tra gli uomini e, crediamo, sempre esisterà, almeno per gli uomini che desiderino essere vivi.
La poesia, infatti, non serve a intrattenerci, bensì a conoscere meglio l’esistenza: sempre che, sia chiaro, si conservi e si ravvivi la capacità di stupirsi, commuoversi, essere feriti, inquietati, interrogati dall’esistenza. È proprio la voce dei grandi poeti che, di tanto in tanto, ci ridesta: la poesia è un modo per restare desti, vivi, perché è fatta da parole che si movimentano di fronte alla realtà che ci chiama. Se ci interessa la poesia, allora, è perché ci interessa una vita accesa, attenta, che non trascura mai le cose, le circostanze, le persone.
A questo proposito, il messaggio di Turoldo è fondamentale, poiché dimostra che dobbiamo ascoltare sempre noi stessi, ma anche la voce degli altri. Il suo cammino l’ha portato alla frequentazione della parola biblica, sporgendosi nel campo del divino, oltre il linguaggio quotidiano, ma rimanendo sensibile al mondo che ci circonda, parlando continuamente alle persone e con le persone, senza fermare mai la poesia. Poesia che lui chiamava “canto”, per sottolineare la musicalità della parola creatrice di relazione con il mondo, una relazione urgentissima nel depistante frastuono odierno.
Occorre sempre ribadire, poi, che quando si legge una poesia dobbiamo accendere anche la nostra voce, la nostra immaginazione, e soffermarci sul senso che le parole hanno per ciascuno di noi, perché la poesia è ciò che succede fra noi e il testo poetico, è esperienza personale. Troppo spesso, però, anche nelle scuole, ciò che si scrive intorno alla poesia diventa più importante della poesia stessa, e rischiamo di leggere e discutere riferendoci ad uno spartito del quale, paradossalmente, non ascoltiamo mai la musica.
Occorre, ancora, tornare alla poesia con l’atteggiamento del fanciullo che si pone di fronte al mondo con curiosità e meraviglia, rinnovando lo spirito dell’infanzia. E non è vero che, come diceva Saint Exupéry, «l’essenziale è invisibile agli occhi», anzi: finito e infinito non vanno contrapposti. Il mondo è pieno di segni che rimandano all’infinito, ma dobbiamo educarci a coglierli, perché troppo spesso ci sfuggono e non sappiamo né vederli né interpretarli, neppure nel nostro territorio o in chi sta vicino a noi.
Valerio Marchi