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[1] http://Vita e coscienza Se cerco di spiegare la coscienza alla luce dell’evoluzione dell’universo e della vita, queste spiegazioni risultano necessariamente o incoerenti o incomplete: a.	io non so perché esisto (anche se è necessario che io ci sia, altrimenti nulla sarebbe), ma mi spiego fino a un certo punto perché esisto invocando come causa efficiente il mio organismo; b.	questo si spiega fino a un certo punto se si invoca come causa efficiente il suo sviluppo (morfogenesi), pilotato da DNA, in continua interazione con l’ambiente; c.	questo sviluppo si spiega fino a un certo punto se si invoca come causa efficiente la selezione naturale degli organismi che si sviluppano in modo simile; d.	l’evoluzione della vita si spiega fino a un certo punto se si invoca come causa efficiente remota un fine-tuned universe, casualmente manifestatosi, e come causa efficiente prossima un ambiente fisico-chimicamente casualmente favorevole alla vita. L’incompletezza di queste spiegazioni fa sì che, oltre alle cause efficienti, si debbano invocare “cause finali”, non come cause efficienti a freccia del tempo invertita, ma come spie dell’inadeguatezza di qualsiasi possibile spiegazione, ed è resa necessaria dal fatto che la coscienza non possa essere causata interamente da alcunché. Ora possiamo più precisamente intendere quella che ci appare come entropia come il disordine con il quale le cose ci appaiono a mano a mano che “si allontanano” da “noi” (dalla prospettiva da cui le ci cose appaiono) nello spazio e nel tempo: a)	un embrione è meno ordinato di un organismo adulto: infatti, può non svilupparsi o può dare luogo, per mutazione, a qualcosa di imprevisto b)	l’evoluzione delle specie è bensì orientata alla coscienza, ma attraverso innumerevoli ramificazioni “feynmaniane” (“integrale dei cammni”) che si perdono nel nulla, perché le cause finali attraggono senza costringere c)	la stessa coscienza si manifesta associata ad organismi che, per vivere, incrementano il disordine del proprio ambiente d)	i comportamenti dei viventi coscienti sono contraddistinti da una caratteristica libertà o indeterminazione che può incrementare il disordine futuro non solo esterno, ma anche interno a se stessi (questione del male, dei vizi) Il tempo dipende dalla coscienza, dunque è da questa che dipende l’evoluzione stessa che conduce ad essa (circolo virtuoso o nastro di Moebius): la coscienza ricostruisce il proprio passato, inconscio, (selezionandolo dagli infiniti sviluppi possibili del caos) e lo (auto)interpreta come vita (evoluzione universale e sviluppo individuale). Se ammettiamo che non vi sia nulla di oggettivamente disordinato e che le nozioni di “ordine” e “disordine” dipendono da criteri posti soggettivamente (Rovelli), anche l’incremento irreversibile di entropia (anche nel senso che questo termine assume nella teoria dell’informazione, oltre che in termodinamica) è tale solo per noi, proprio come il verso della freccia del tempo direzionata dal passato verso il futuro (che l’incremento di entropia misura in modo meno arbitrario di altri parametri). Possiamo rileggere la storia, altrimenti inesplicabile, dell’evoluzione del cosmo e della vita: se è vero che essa privilegia da sempre una linea di sviluppo, apparentemente improbabile nei suoi diversi segmenti (fine tuned universe, distribuzione di materia ed energia, origine della vita, evoluzione della vita intelligente ecc.), ossia quella che porta alla coscienza, è solo perché, se non si desse qui e ora coscienza, nulla sarebbe, il che, per la natura necessaria dell’essere, è impossibile. Appare, dunque, plausibile che l’universo esista per noi o affinché noi, circolarmente, possiamo farlo esistere essendone coscienti (Wheeler, concezione partecipativa dell’universo). Bisogna considerare che il “presente”, altrimenti indistinguibile da qualsiasi altro istante, deve potersi “spiegare” come il solo risultato possibile della combinazione della forze in campo, come qualcosa che da sempre doveva avvenire, compimento di un disegno cosmico traguardato dalla sua stessa prospettiva: eppure questa “messa a fuoco” del tutto (azzeramento dell’entropia) deve essere tale per “ogni” presente (di qui, ancora, l’immagine dell’ologramma che assume innumerevoli diversi aspetti, ma è “eternamente” proiettato dalla stessa lastra olografica). La necessità dell’esserci di qualcosa (“ciò che è non può non essere”), in cui consiste la coscienza, obbliga la perenne selezione di qualcosa di attuale dall’infinito dei possibili. Supponiamo che tutto “esista” (p.e. un punto privo di dimensioni e saturo di informazioni) senza che nessuno ne sia cosciente. In termini aristotelici si direbbe che tutto esiste in potenza, non in atto. Che cosa mai potrebbe farlo passare dalla potenza all’atto? L’universo sarebbe destinato a restare eternamente immobile e inconscio. La coscienza di sé che gli permette di svilupparsi nel tempo e nello spazio deve, dunque, accompagnarlo da sempre e per sempre: una sua “parte” o, meglio, un suo “modo” deve necessariamente essere da sempre e per sempre già in atto. La coscienza, intesa come il pervenire del tutto a “scienza” di se stesso, può essere intesa come il fine o tèlos o causa finale dell’essere: ciò che, compiendolo, la fa compiutamente essere. Tale “fine” o “confine”, a differenza dello scopo, che è ciò che si ha in vista, ed è tale soggettivamente, è e dev’essere necessariamente qui e ora, presente (laddove lo scopo è per costruzione futuro). Il prezzo da pagare, per così dire, di tale evoluzione è il maggior grado di disordine, misurato da grandezze come l’entropia, cioè di dis-unità, di ciò che circonda quel limite dell’universo (la coscienza), che lo rende uno: disordine che è via via maggiore quanto più ci si allontana nello spazio dalla vita e nel tempo dal presente.
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[3] mailto:itineraria@itinerariafvg.it
[4] mailto:itinerariafvg@pec.it
[5] http://liceomarinelli.edu.it/sites/default/files/AllegatiNotizie/10/09/2021%20-%2011%3A38/DANTE_2021_MANIFESTO.pdf